Esposizioni

sabato 7 settembre 2013

Berat (Albania) 8 settembre 1943

Berat

Il ponte sul fiume Osum

PREMESSA
Alla vigilia dell’8 settembre in Albania si trovavano dislocate la 9° armata, al comando del generale Dalmazzo, composta dal IV corpo d’armata con sede a Durazzo e dal XXV corpo d’armata con sede ad Elbasan. Ne facevano parte la divisione “Perugia”, la “Arezzo” a Korça, la “Parma” a Valona, il reggimento “Monferrato” a Berat, la “Brennero” a Kruja (nei pressi di Tirana), il reggimento “Guide” a Tirana, la “Firenze” a Diber, la “Puglie” tra Shkodra (Scutari) e Kosove, e contingenti della Marina, dell'Aeronautica, della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza.

Il numero dei militari italiani in Albania consisteva di circa 140.000 unità, “ben armati e equipaggiati” (Alessandro Serra, “Albania 8 settembre ’43 - 9 marzo ‘44”). Il presidio di Berat, al comando del col. Lanzuolo, era incentrato sul reggimento Cavalleggeri del Monferrato e comprendeva il XXVI Battaglione CC. NN.
Le forze irregolari albanesi si muovono verso la città dalle montagne circostanti, erano gruppi di "ballisti" e comunisti ancora per poco alleati. In questo quadro si colloca il brano di diario che pubblichiamo. Il difficile compito assegnato al tenente Ettore Ponzi era quello di presidiare la strada di accesso a Berat nei pressi del ponte sull'Osum, e qui si esprime il massimo del suo coraggio e senso dell'onore. Fu forse questo a salvarlo in quella difficile situazione di uno contro cento, ma per lui ".. sono le preghiere dei miei figli e di mia madre che sono esaudite.". Il presidio di Berat cessò di esistere con la giornata del 16 settembre e fu fatto saltare. Ci furono soldati che aderirono alla resa definitiva ai tedeschi e furono avviati verso Bitolj, cioè verso la prigionia, altri raggiunsero la montagna. A questo punto Ettore Ponzi scelse di raggiungere Elbasan e quindi la montagna mentre il battaglione XXVI, protetto dai tedeschi, fu imbarcato a Durazzo il 25 settembre, insieme ad aliquote della divisione Brennero, raggiungendo poi Trieste.


Per un approfondimento degli eventi utile la lettura del volume di Massimo Coltrinari edizione A.N.R.P. "Albania quarantatre"



Berat la parte alta della città e la fortezza.

Le parole del Diario

Ultimi giorni a Berat
E' l'otto settembre, giorno dell'armistizio chiesto dall'Italia. Conserviamo atteggiamento riservato davanti a questo avvenimento improvviso: altri reparti si danno sfrenatamente alla pazza gioia perché convinti che tutto ormai sia finito e che di conseguenza tutti sarebbero tornati a casa. Stolti e illusi! Si accorgono presto dell'inganno. Dall'Italia giungono notizie sconfortanti e noi siamo lontani, senza nessuno che ci guidi. Intanto tutte le bande scendono dalle montagne con lo scopo di occupare la città: scendono da tutti i lati con le baionette già innestate.
Viene dato l'allarme e ognuno corre alle posizioni indicate. A me viene dato l'ordine di occupare le posizioni che sbarrano la strada. Faccio appena in tempo a disporre uomini e armi quando vedo per tutta la campagna antistante strisciare sul terreno centinaia di uomini. Non so quale Santo mi assista, comunque me ne sto ritto in mezzo alla strada, non senza un gran timore di essere colpito da più colpi d'arma. Certamente sono le preghiere dei miei figli e di mia madre che sono esaudite. Infatti ecco che un tizio si alza da un fosso sulla strada, si fa avanti cautamente come intendesse voler parlare. Si avvicina, saluta e mi allunga anche la mano. Rispondo col mio saluto. Mi dice che sarebbe passato per entrare in città con i suoi uomini. Mando ad informare il comandante, mi risponde che posso farlo passare.
A centinaia passano, a piedi, a gruppi e isolati e su macchine sgangherate, cantando. Per diversi giorni, ininterrottamente, passano le bande armate a sfogare le loro ire nel sangue. E' un andare e venire di capi banda al presidio e frattanto arrivano anche dei parlamentari tedeschi dal colonnello.
I partigiani costruiscono altrettante postazioni davanti alle nostre e nella notte fanno sibilare qualche colpo, forse per provocarci. Per otto giorni rimaniamo isolati, senza nessuna comunicazione. Tra mille incubi, alternarsi, ordini e contrordini; gruppi di soldati caricano i loro zaini e si dirigono chi a destra chi a sinistra per la campagna. Finalmente il giorno 16 arriva un ordine dal comando generale con le istruzioni per raggiungere la Bulgaria a più tappe forzate. Si dà fuoco ai magazzini, alle caserme e ad ogni cosa, poi ci si prepara aiutati dai tedeschi ad uscire dalla città infernale. Mentre stiamo marciando scoppia la lotta tra le diverse bande che si con­tendono il saccheggio della nostra roba abbandonata. Diverse armi fanno fuoco, alcuni colpi giungono anche su di noi. Insieme ai tedeschi ci buttiamo a terra pronti a fare fuoco. Il giorno dopo ci troviamo salvi, fuori dall'inferno e accampati sulle rive tra il Devoli e il Femeni.

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