L'antica “Ticinium “, divenuta
“Papia “, era stata scelta dai Longobardi (572- 774) quale sede stabile della
corte e del comando militare, perché la sua posizione era ritenuta al sicuro
dalla minaccia bizantina. Vi costruirono conventi e basiliche in cui erano
incoronati re-guerrieri continuamente mobilitati in azioni militari.
Ludovico Antonio Muratori (1671-
1750) nei suoi Annali cita il Monastero di Santa Maria Teodote in Pavia,
riferendosi alle notizie di Paolo Diacono (ca. 724- ca.799) autore dell'Historia
Langobardorum.
Si legge che Ermelinda, moglie del
re Cuniberto che regnò tra il 679 e il 700,
con “imprudenza femminile” parlò al marito di una giovane donzella da lei
incontrata alle terme. Non era di origine longobarda, ma una ex nobilissimo
romanorum genere, di singolare bellezza, con i capelli biondi che le
scendevano fin quasi ai piedi. Secondo le leggi dei Longobardi, le zitelle si
riconoscevano dalle maritate per i capelli lunghi, belli e curati, ossia erano intonsae.
Appena andavano a marito li tagliavano.
Il re, invaghitosi al solo
racconto di questa non veduta bellezza, operò con inganno per allontanare la
moglie e avere la giovane “alle sue voglie”. Non tardò , però, a ravvedersi
della sua azione. Come riparazione la
introdusse nel monastero, che cominciò a chiamarsi di Teodote.
L'abbazia benedettina di Santa Maria Teodote di Pavia oggi |
Se per Paolo Diacono il Monastero
fu fondato da Cuniberto, il Muratori ritiene che esistesse già e che Teodote
“con le ricchezze seco portate magnificamente lo rifabbricó ed accrebbe”.
Ella vi fu badessa annos nimium
plures. Morì nel 705 o forse nel 720.
Da Carlo Magno a Federico I
Barbarossa il Monastero godette di donazioni imperiali, diplomi di immunità e
conferme dei propri beni, tutto documentato da pergamene, o copie, tuttora conservate negli archivi.
Da Lotario a Berengario, dalle
Bolle degli Ottoni si assiste a un proliferare di monasteri da loro stessi
fondati e ad un allargamento dei beni a favore di quelli già esistenti.
Il Monastero pavese di Santa Maria
Teodote, dell'ordine benedettino, direttamente dipendente dall'autorità papale,
aveva la maggior parte delle sue proprietà nel territorio di Borgo San Donnino
, su cui esercitò i suoi diritti per circa cinque -sei secoli con alterne
vicende.
Tra il XII e il XIII secolo i vari
papi intervennero più volte a sostegno delle monache in controversie con il
prevosto e il Capitolo di San Donnino.
Alessandro III nel 1180 chiese che
i canonici si adoprassero affinché fossero restituiti i possessi ingiustamente
sottratti da alcuni parrocchiani ed intervenne per risolvere una lite intorno
alla chiesa di Santa Maria in Borgo e per l'espulsione da parte degli stessi
canonici di un sacerdote addetto alla cappella della badessa. Si cita nello
stesso periodo il caso di una certa “D.” definita intrusa e maledetta,
che aveva indegnamente ottenuto l'incarico di badessa. Dopo la sua destituzione
il papa Lucio III e il papa Urbano III con un mandato chiesero la
reintegrazione dei beni arbitrariamente donati ed alienati da lei.
Nel 1221 è papa Innocenzo III a
intervenire in una causa su sollecitazione della badessa: prevosto e capitolo
di Borgo non rispettavano l'obbligo di decima ed altre cose.
La proprietà del monastero di
Pavia in Borgo San Donnino, si ritiene fosse la più vasta di tutte.
“Era costituita da terre di
pianura, sufficientemente compatte, delimitate, grosso modo, ad ovest dal corso
dello Stirone e ad est dal torrente Parola. Era attraversata, in direzione
est-ovest dalla via Emilia, da cui si staccava a Coduro, nel cuore della
proprietà con direzione nord-sud, verso gli Appennini, la via Romea o
Francigena. All'interno delle terre dell'abbazia, bagnate da numerosi corsi
d'acqua, la Rovacchia, il Venzola, il cavo Brugnola, la “dugaria”, sorgevano le
ville di Toccalmatto e Lodispago (vadum spagorum ) di cui il
monastero possedeva gran parte degli edifici. Il centro organizzativo della
proprietà si trovava in Borgo San Donnino, in castro: qui vi era la
chiesa di Santa Maria, in seguito chiamata de la rocha, di antico
patronato dell'abbazia, un claustrum, una curia, varie case, una cassina per il fieno, una begundia o caneva per il vino e un
granaio per i cereali. Qui confluivano i canoni versati dai contadini
dipendenti. “(L. Chiappa Mauri- Paesaggi rurali di Lombardia)
La mappa è una ricostruzione del Borgo medievale, la chiesa di Santa Maria Teodote è indicata col numero 4 |
Alla fine del 1200, dopo un
periodo in cui non si hanno notizie precise sull'amministrazione dei beni, le
badesse Pazienza e Tomasa de Sicleriis procedono al rinnovo generale delle “investiture
ad fictum” , la gestione diventa più
accurata ed esse si recano personalmente a Borgo e a Toccalmatto dove risiedeva
stabilmente un gastaldo. Le terre del monastero sembravano ben curate, fittamente
suddivise in appezzamenti a colture diverse, di estensione per lo più inferiore
all'ettaro. Erano stati compiuti lavori di sistemazione idraulica con fossati,
fossi e canali.
Nella prima metà del 1300 sia per
gli effetti della peste nera, che per le varie lotte che coinvolgono Parma
prima di essere definitivamente incorporata nei possedimenti viscontei, si
assiste ad un impoverimento delle campagne. La flessione demografica per le
morti e le scorribande dei soldati con saccheggi e distruzioni giustificano
l'avanzamento dell'incolto e la diminuzione della parte di raccolto che spetta
al monastero. I redditi dei terreni erano inoltre gravati da onera che
pesavano sulle entrate complessive.
Complesso della chiesa parrocchiale di Toccalmatto oggi |
Per esempio la prebenda per
ciascun sacerdote officiante nella chiesa di S. Maria di Borgo e quella di S.
Margherita di Toccalmatto era costituita da 24 staia di frumento, 16 di spelta
(graminacea), 1 di fave e 12 misure di vino o , probabilmente, l'equivalente di tutto in denaro.
Al vescovo di Parma, in cambio
dell'investitura alla badessa Tomasa delle decime dei terreni di Lodispago,
dovevano essere versate 10 libbre di cera o il corrispondente in denaro; 3
staia di frumento spettavano alla chiesa pievana di Borgo S. Donnino.
Nicola de Zangrandis, notaio e
scriba della curia episcopale di Parma, che esercitava la sua attività verso la
metà del 1400, fece redigere copia, che autenticò, del “liber extimi tocius
cleri parmensis” di cui non è rimasta traccia, collocabile tuttavia intorno
al 1360.
Vi compaiono la descrizione e la
valutazione delle terre, possessiones, et jura ac ficta del Monastero,
situati nella diocesi di Parma.
Nel registro, forse per la
difficoltà di stabilirne il reddito, non è citata la chiesa di S. Maria con gli
annessi rustici. Ciò forse a causa delle condizioni del sito dopo il disastroso
incendio di Borgo del 1341. Vi è, invece, descritto il sedime dove
sorgeva la chiesa di S. Margherita di Toccalmatto.
Ogni appezzamento viene
individuato, sono indicati il tipo di terreno e i confinanti, è misurato seppur
grossolanamente in biolche e ne viene annotato il reddito annuo.
Le possessioni sono misurate dai teralea
di Borgo (costruiti nel 1302) fino ai terreni nel territorio di
Toccalmatto: risultano complessivamente 1534 biolche e 2 pertiche e l'arativo
copre circa la metà della superficie , il resto è prativo oltre a 60 biolche di
terra salda ( sterile ).
Si rileva nel complesso un
sensibile deterioramento della proprietà. Dal registro risultano redditi
irrisori da investiture perpetue: ad esempio l'Ospizio di Coduro per 43 biolche
versa 3 lire, 12 soldi, 8 denari, un Axinelus versa 6 denari per 18
biolche e un altro, Armaninus Burgaranus, 6 denari per 24.
Intorno a 1370 le monache
cominciano a risentire delle difficoltà nel controllare dei beni distanti da
Pavia e ritengono opportuno modificare la gestione delle terre introducendo il
sistema dell'affitto globale corrisposto in denaro. In questo modo per loro si
alleggerisce l'amministrazione, evitano di calcolare quote di rendita, di
immagazzinare prodotti e di gestirne la vendita.
La vasta proprietà di Borgo viene
suddivisa in possessioni più ridotte.
La più estesa era quella di
Toccalmatto, a est, di circa 900 biolche (a meno di 2 milliaria da
Borgo).
Quella di Lodispago, di 200
biolche, tra via Emilia, Rovacchia e Stirone era la più vicina (ad 1 milliare
).
Parola, pure di 200 biolche circa,
era la più orientale, tra via Emilia, Rovacchia e Parola (a 2 milliaria).
A nord, vicino allo Stirone, era
Chiusa con poco meno di 200 biolche (ad 1 milliarium e mezzo). Infine
vi era la Politia ( Pollecola. Polizia, Pollexe) che continuava il toponimo
dell'antica curtis, a est della Chiusa e a nord di Lodispago e
Toccalmatto (ad 1 milliare e mezzo ),di 170 biolche che nel 1390,
insieme ad una casa ubicata nella vicinìa di S. Michele in Borgo, veniva
affittata da Antonio Lupi di Soragna per 20 fiorini d'oro, 2 libbre di cera, 2
paia di capponi da pagarsi in due rate, agosto e marzo.
Il XV secolo vede un susseguirsi
di contratti in varie forme e se da una parte le monache sembrano attente alla
necessità di ristrutturazioni murarie dei fabbricati di cui hanno mandato i
conduttori, dall'altra con ostinazione rifiutano di risarcire ai vari fittavoli
le spese “pro spazando fossata“. Il territorio, ricco di corsi d'acqua,
necessita di una adeguata sistemazione idraulica, va infatti soggetto ad
allagamenti a scapito delle coltivazioni.
Il loro disinteresse e l'invadenza
sempre più forte dei signorotti locali porterà infatti ad un deterioramento
sempre più accentuato della proprietà.
Nel 1443 i beni del Parmense
fruttavano globalmente al monastero di S. Maria Teodote 235 fiorini (32 soldi
imperiali per fiorino), 8 rubiole ( formaggi), 3 once di zafferano secco
( coltura importata) e quanto serviva al mantenimento del prete della chiesa di
S. Maria della Rocca.
Nel 1460 il Monastero giunge alla
decisione di liquidare i beni parmensi con permute di terre più vicine a Pavia.
In quell'anno, le 900 biolche della possessione di Toccalmatto vengono
permutate col conte Stefano Sanvitale .
Rimanevano le possessioni di
Parola, Lodispago, Chiusa e Polizia per la cui permuta con il marchese Giovanni
Pallavicino di Scipione papa Paolo II concede l'autorizzazione nel 1465.
Le terre richiedevano una
misurazione ed una valutazione considerata sui terreni e sulle rendite che
erano diversi: migliori quelli di Lodispago, scadenti quelli di Chiusa e
Polizia.
Papa Sisto IV a garanzia che tutto
avvenisse nel rispetto delle regole delegò allo scopo quale commissario
apostolico il vescovo di Cremona Giovanni Stefano Bottigella. La faccenda si
concluse nel 1486, ratificata il 22 giugno. Il marchese Giovanni nel frattempo
era deceduto, restavano i figli Pietro, Antonio Maria e Iacopo.
Marisa Guidorzi
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-Milliare = m. 1480,4
-Biolca = mq. 3048,80
-Nel 1473 la badessa inoltrò a papa Sisto IV la richiesta di
entrare nella Congregazione Riformata di S. Giustina di Padova. Era stato papa
Gregorio XII nel 1409 ad affidare la riforma di S. Giustina a Ludovico Barbo.
Da Padova il nuovo ordinamento benedettino fu esteso a tutti monasteri
dell'Ordine che dal maggiore di Montecassino prese la definizione di
benedettino – cassinese.
-Nel 1778 la rendita liquida del Monastero di S. Maria
Teodote ammontava a 34.650,10 lire. Vi erano 43 monache.
Nel 1799 fu soppresso dalla Repubblica Cisalpina, i beni,
inglobati e amministrati dal Fondo di Religione, furono in seguito
parcellizzati e venduti.
-La chiesa di S.Maria della Rocca nel 1573 fu assegnata ai
Cappuccini, la cui presenza in Borgo era stata richiesta dai Borghigiani. Fu
costruito un convento vicino alla Rocca annesso alla chiesa. I frati vi
rimasero fino al 1585, quando per la presenza di una rumorosa guarnigione
militare decisero di trasferirsi in luogo più tranquillo. Nello stesso anno S.
Maria della Rocca fu abbattuta perché in stato rovinoso.
1 commento:
Grazie Prof. Guidorzi,l'articolo e ricerca su Fidenza che Lei ha fatto ,l'ho ritenuto per me interessante per la storia di Fidenza .
l'Articolo l'ho letto, ma non son contento di leggerlo una sola volta, perciò l'ho di stampato e così lo posso rileggerlo con calma
questo mi serve per avere sempre più esperienza della nostra storia di secoli passati. Grazie Prof. Umberto Zanella
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